Acerra. “Femminiello”, “chiachiello”, “fariniello”, “bavettiello” “bellillo”!
Per alcuni giorni, si è atteso che da Viale della Democrazia giungesse l’unica precisazione possibile: l’ammissione responsabile di essere incappato in una frase infelice e sbagliata. Ricorrere al termine “femminiello” nell’ambito di una Commissione consiliare da parte del sindaco, invece, secondo il primo cittadino e molti esponenti della maggioranza, non era offensivo, perché nella lingua napoletana il termine ha un’accezione benevola. Era solo una espressione colorita, per quanto pronunciata nella più importante articolazione del Consiglio Comunale. In altre parole e per intenderci, il sindaco poteva chiamare i suoi detrattori “ricchioni”, ma sapendo che questo termine avesse un’accezione offensiva, si è guardato bene dall’usarla. Indubbiamente, secondo loro, una prova di proprietà di linguaggio.
Successivamente, è stato precisato che il riferimento non era sessuale, ma era un attacco di natura politica ai demagoghi e ai camaleonti della politica. Questa estemporanea invettiva, dunque, era stata attuata esattamente con l’utilizzo di un termine, che afferisce, seppur con la benevolenza della lingua napoletana, agli orientamenti sessuali, ma con altre finalità politiche. Indubbiamente, a questo punto, una prova del ridicolo.
In realtà, la vicenda è grave per l’inequivocabile carattere e sfondo omofobo e ha destato, in modo comprensibile, lo sdegno di importanti associazioni che lottano, del resto come la legge, contro ogni discriminazione. Il sindaco, consapevole che tutto era documentato non solo dalle testimonianze, non poteva smentire l’affermazione, per questo ha tentato, prima con argomenti risibili rinvenuti in estemporanee ricerche sulla rete, poi con arzigogoli logici, una difesa improbabile e inappropriata.
Il sindaco, in tutto questo, ha trascurato che, essendo tutto documentato, oltre a non poter negare il fatto, non poteva smentire soprattutto la ricostruzione puntuale della frase, giocando sulle diverse interpretazioni. Infatti, intervenendo sulla questione delle ordinanze antismog nella Commissione consiliare, il sindaco sottolineava che le impressioni o le sensazioni sul “carico urbanistico, forse voleva intendere ambientale, dell’inceneritore” sono comprensibili e verosimili, ma per un sindaco è diverso, perché non può fare “il chiachiello o il femminiello” sui telefonini e sui social network come possono fare altri.
Si può non essere esperti della sintassi, si può tentare di giocare con le parole, ma non sussistono dubbi sul fatto che il riferimento venga utilizzato dal sindaco come termine di paragone negativo e discriminatorio verso il dissenso. È un brutto episodio, per quanto si può essere certi che non intacca la storica cultura della tolleranza e dell’integrazione sociale che muove da sempre la comunità acerrana. L’episodio, tuttavia, è importante per comprendere lo stato delle istituzioni locali, la cultura e le pulsioni profonde del sindaco della città, che dovrebbe essere e soprattutto incarnare il “primo cittadino”.
Si badi bene che non è per nulla una questione soltanto di stile, soltanto di linguaggio o soltanto di forma.
Nella nostra città, da tre anni a questa parte, progressivamente si abbattono i confini e gli argini della moralità nella vita amministrativa e democratica al Comune di Acerra. Si avverte l’affievolimento della valenza della moralità e del rispetto della legge. La decadenza di un consigliere comunale, la riconducibilità di bollettini falsi per la pratica di condono a un congiunto di un consigliere comunale, le commissioni consiliari piegate agli interessi personali dei componenti, giganteschi conflitti di interessi all’ufficio tecnico comunale non producono più, nell’assuefazione generale, neanche una discussione.
Del resto, come non riflettere sui tanti silenzi, speriamo non opportunistici, di questi giorni.
Il sindaco, per tornare al tema, ricorre spesso, come sanno bene i consiglieri comunali di maggioranza, soprattutto nei momenti di tensione dello scontro politico e nel confronto istituzionale ad un frasario molto eloquente, quando non riesce – con un’arrogante e rozza ironia – ad affrontare e indirizzare le questioni.
“Femminiello”, in questo senso, non è diverso da “chiachiello”, “fariniello”, da “bavettiello” o dal proverbiale “bellillo”, che costituisce una vera e propria pietra miliare del suo argomentare “politico”, che purtroppo per gli acerrani non è sorretto da una padronanza adeguata della lingua.
I significati diversi di queste parole acerrane sono forse sconosciuti alle nuove generazioni, ma sono abbastanza intuitivi. Può sconcertare e far riflettere che il sindaco della città possa ricorrere, con il pessimo vizio della sistematicità, ad un linguaggio così “colorito” e volgare, ma il limite della discriminazione non può essere valicato da un uomo che incarna l’istituzione comunale.
Faccia ammenda molto semplicemente, impari dall’esperienza, si controlli e, soprattutto, se ne faccia una ragione.
C’è solo da aggiungere che questi termini hanno, nella interpretazione del sindaco, un evidente elemento in comune: il riferimento all’apparenza. Sono termini che evocano una realtà diversa da quella che appare; una realtà attraversata da mistificazioni, rappresentazioni distorte o comunque infedeli, di qualunque genere o natura, si tratti in qualche caso dell’età, si tratti in altri del sesso.
Si dice che la lingua batte dove il dente duole: quanto della azione politica, amministrativa e di comunicazione del sindaco di Acerra è apparenza, compromessa da mistificazioni, omissioni e falsità?
Pasquale Sansone