Pezzalunga ed il Gaudello sono frazioni di Acerra, due frazioni che non offrono nulla ai propri giovani, un pezzo importante del territorio di Acerra, grazie ad una economia agricola, allo stato è un territorio abbandonato e dimenticato dalla città di Acerra.Siamo andati ad ascoltare il parroco della locale chiesa don Stefano Maisto.
Don Stefano Maisto, come si vive in questa frazione?
«La chiesa interessa le frazioni di Pezzalunga e Gaudello, questa comunità è bella perché vive ancora legata a dei fortissimi valori di quelli semplici come quello della famiglia unita ed è una comunità dove la stragrande maggioranza vive di lavoro legata alla terra. Ciò rende tutto più gioioso».
Sotto il profilo ambientale?
«Pezzalunga avrebbe bisogno di un servizio di videosorveglianza, oltretutto ci è stato promesso in campagna elettorale.
C’è il fenomeno del deposito di sacchi, buste e bustoni di rifiuti abbandonati sotto i ponti d’ingresso di questa località. Il fatto strano è che di sera quando vai via sono puliti e di mattina ritrovi l’accumulo che col passare dei giorni si trasforma in una vera discarica abusiva».
Cosa offre questo territorio ai giovani residenti? «Questa è una nota dolente, Pezzalunga non offre praticamente nulla. Non c’è nulla, non c’è una struttura sportiva, non c’è un luogo di ritrovo, non c’è una piazzetta, non c’è uno spazio dove poter garantire a questi giovani e bambini incontrarsi serenamente. Molto spesso gli abitanti del posto si spostano o nella vicina Polvica o ad Acerra».
Da Pezzalunga come vede la città di Acerra?
«Pezzalunga appartiene ad Acerra ma è come se non appartenesse alla città di Pulcinella. I bambini di queste frazioni frequentano la scuola di San Felice a Cancello o di Polvica. Pezzalunga sente pochissimo il legame con Acerra anche perché non riceve nulla dalla città.
Cosa pensa della città di Acerra?
«Sono trapiantato ad Acerra, sono originario di Napoli e vivo dal 90 nel quartiere Madonnella.
Vivo e condivido le riflessioni, le ansie e le paure del Vescovo, spesso negli ambienti ecclesiali lancio le mie riflessioni: ho la sensazione che la città sia abbandonata a se stessa, dove il futuro è incerto».
Da dove nasce questa sua analisi?
«Da cose semplici, dal vedere i giovani continuamente emigrare, che vanno via dopo gli studi e per l’avvio di attività altrove».
L’omelia di Natale del vescovo è stato un monito, un invito alla responsabilità ed al confronto ad una città che sta morendo ed ancora:”il prezzo di questa città è calato di molto si compra la gente per fame”.
Lei cosa ne pensa?
« Condivido questa analisi del Vescovo, quando la fame, la povertà, l’ignoranza è così alta per forza di cose ci si vende, ci si vende per pocoo per nulla, ci si vende per diritti che vengono spacciati per dovere, per piaceri che vengono offerti, purtroppo noi viviamo nella nostra città, nel nostro sud viviamo di favori, dobbiamo sempre conoscere qualcuno che ci possa in qualche modo favorire, quando invece si tratta di diritti elementari.
La nostra città sta morendo nella indifferenza di chi potrebbe far qualcosa e non lo fa, di chi potrebbe avere le capacità di farlo e non riesce ad emergere, sta morendo perché tutto ci è indifferente.
L’indifferenza è morte, la morte di una città avviene quando non si è più solidale gli uni con gli altri, quando non si condivide più i propri destini, nel momento in cui tu mi sei indifferente a te può accadere di tutto così come a me e non riesco più ad essere in empatia con te. Ecco la morte di una città, la morte di una comunità avviene nel momento in cui non sono più capace di vivere empaticamente ciò che sta accadendo all’altro, ciò mi rende triste».
Concludendo: «sono e un sacerdote e come tale non posso non credere nella speranza che viene dal Signore. Sono convinto che si guarisca dai propri mali condividendo anche i mali altrui, sono convinto che posso guarire se mi ravvedo e comprendo anche l’atro».
Lorenzo Oliviero