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Il recente bilancio comunale di Acerra manda l’agricoltura “in verde”

Sull’agricoltura preferiscono governare a vista!
Se si avesse la possibilità di attraversare la piana del Sele e grazie all’autostrada A30 giungere nell’agro acerrano, si potrebbe notare, a parità di condizioni territoriali, un divario stridente.
Dalla fascinazione che l’agro Velino riesce ad esercitare sui principali stakeolder della Grande Distribuzione Organizzata, che proprio non la smettono di rimpinguare di denaro le casse degli imprenditori agricoli ebolitani, all’agricoltura acerrana che sembra più una babele produttiva che un comparto economico florido e ricco di potenzialità, come invece è.
Purtroppo la realtà è questa.
Un tessuto produttivo vivo, ricco di talenti e capacità, di terreni fertili e di risorse tecniche e professionali che arranca, aggrappandosi al bavero della giacca di un mercato globale che è il vero schiacciasassi dei prezzi e della redditività delle piccole aziende di Acerra.
Quest’estate, una mia giovane concittadina, figlia di agricoltori, scriveva una lettera aperta al Sindaco in cui chiedeva un intervento per ridare dignità all’agricoltura locale, provvista ancora di un cuore da atleta pulsante, pronta a scattare dai blocchi dei cento metri per dare lustro a generazioni di agricoltori con la schiena china e le mani ruvide.
Gente che ha fatto la storia, che ha costruito cultura ed ha custodito le tradizioni, ma che oggi è relegata al margine della città e degli interventi di politica economica delle ultime due amministrazioni.
Nell’espressione dei poveri agricoltori, in attesa di un colpo da battere che tarda a farsi udire, c’è l’avvilimento, lo smarrimento di chi è costretto a vivere nella speranza di ritornare a fare progetti, investire, e perché no, provare a dare un’eredità lavorativa ai figli.
Quanto tutto questo possa reggere, nessuno lo sa.
C’è però una speranza. Gli agricoltori, contadini, o cafoni (senza intento dispregiativo come amano essere chiamati) di Acerra, sono genti forti. Persone abituate a combattere con le intemperie, con la terra dura ed amara.
La riscoperta dell’agricoltura e della sua forza deve avvenire e forse sta già avvenendo, dal basso. Senza politiche pubbliche, grazie al passaparola globale, anche se gli effetti sul mercato e sugli equilibri economici dell’intero comparto tardano e tarderanno a farsi sentire.
C’è poi il divario tra Acerra e le altre zone agricole si diceva.
Se ne parla. O almeno si prova a farlo.
Anche il Vescovo Di Donna, non più tardi della fine di Novembre scorso lo sottolineava, in presenza del viceministro delle politiche agricole alimentari e forestali Olivero, nella sala semideserta del Teatro Italia. Ma non è un fatto che riguarda solo chi crede in Cristo, nel suo messaggio e nella sua forza salvifica. La questione agricola locale, rientra in un contesto più ampio di politiche del territorio. L’assenza di progetti per la tutela e la salvaguardia del territorio rurale in pieno tsunami speculativo, l’abbandono e l’assenza di controllo e manutenzione delle aree agricole, hanno prodotto una generale depressione di umore e di fervore negli agricoltori forti e capaci, ma che stentano a trovare un sostegno ed un fondamento nella classe politica e nell’azione amministrativa del Comune.
C’è una sorta di “debito pubblico territoriale”. Per l’agricoltura non vi sono iniziative. Non si spendono soldi.
Il recente bilancio manda ancora una volta l’agricoltura “in verde”. Non quello bello delle lattughe o dei meravigliosi cavolfiori. Ma “in verde” di denaro, nella sua metaforica espressione.
Il censimento dell’agricoltura del 2010 (ultimo censimento generale ISTAT) testimonia di una contrazione del numero di aziende da 1200 circa a 700. Ma attenzione, il dato potrebbe indurre in errore. Seppur diminuito il numero di entità economiche, si è assistito ad un fenomeno di riordino fondiario dovuto all’accorpamento delle superfici.
Quindi in embrione esiste uno slancio, interessante. Positivo.
Sarebbe il viatico giusto per ridare ossigeno al comparto. La crescita passa necessariamente attraverso l’aumento della dimensione aziendale.
Manca però un altro tassello. Il raggruppamento. La forza economica, che è anche potere contrattuale con i mercati, deve trovare necessariamente la sua “chiave di volta” nell’aspetto organizzativo. Gli strumenti ci sono: Cooperazione, Organizzazione, Associazione, Reti di Imprese, senza voler scendere nei dettagli.
L’Amministrazione della Città, nata a giugno nel segno della continuità, ha optato alla fine per il “laissez faire”, preferendo non intervenire sugli squilibri strutturali del comparto agricolo, così che in dissesto si era all’inizio, in dissesto ci troviamo ora, e forse, se nulla dovesse cambiare, due Consiliature andranno in questo modo sprecate.
È evidente che non si chiede la luna. Basta molto meno. Ad esempio dichiarare un obiettivo di intervento minimo – o il controllo del territorio o il sostegno strutturale o un’iniziativa economica – che ci si proponeva di raggiungere (uno non tutti) per migliorare, un po’, la qualità di vita delle famiglie degli agricoltori; non tanto di diventare la Great Valley Californiana “de noartri”, ma quanto meno di creare i presupposti economici e strutturali per iniziare ad avere competitività nel settore.
Magari prendendo esempio dalla Piana del Sele (colosso dell’agricoltura nazionale per qualità e volumi di affari).
Magari rendendo produttivo almeno qualche rivolo del fiume di spesa pubblica locale  (clientelare e non) che si traduce nella fiscalità locale più fastidiosa degli ultimi tempi.
Ma qui, sull’agricoltura si preferisce “governare a vista”, spostando l’attenzione sui temi comodi dell’antagonismo, dell’identità territoriale (forse l’agricoltura è l’unica vera che resta), una forma scaltra di populismo, che butta ogni volta il pallone fuori dal campo di gioco, e non deve mai render conto a nessuno.
La cosa è più complicata, perché diciamo Acerra, ma i problemi travalicano il confine dei campi coltivati (altra storia).
Resta un tessuto agricolo sano, con le spalle larghe, pulito, di grandi eccellenze, con il Pomodoro San Marzano DOP dell’agro sarnese- nocerino su tutti.
Ma resta anche l’incapacità o la “nolontà” politica ed amministrativa di dare una svolta a questo impasse. Bisogna trovare i mezzi e gli strumenti per dragare questa laguna. Far affiorare di nuovo la voglia di pensare, progettare e realizzare per la nostra agricoltura. Tra le periferie sofferenti, dopo i quartieri a nord e a oriente, ci sono le masserie, i campi verdi ed i frutteti del bosco di Calabricito e Varignano, stravolti dall’attesa di qualcosa di nuovo; luoghi d’Italia dove il deficit di cittadinanza e di speranza (anche agricola) è più acuto. Territori e persone ai quali il Municipio non riesce proprio a dare rappresentanza e si continua a stare insieme nel segno della indifferenza e del rancore.
Così, il divario con gli “altri agricoltori” ci accompagna, diventa una dimensione di vita. Si vive e si governa alla giornata. Tutti orfani di un progetto, una visione, la capacità di dare alla Terra più fertile d’Italia, la terra Felix, orizzonti più larghi di spazio e di tempo.
(A proposito, i prodotti agricoli di Acerra sono di qualità superiore, perchè sono di qualità superiore le mani degli agricoltori di Acerra, che li fanno. Ho il ricordo preciso di una mattina in cui ho fatto dono ad un amico di un po’ di ortaggi, il cielo era azzurro, e c’era profumo di primavera. Quell’amico non vive qui, ma quegli ortaggi gli son rimasti nel cuore e quando lo chiamo mi ricorda sempre delle “mie meravigliose carcioffole”).
Domenico Giuseppe Crispo, Agronomo appassionato di rugby, ciclismo, del Napoli e della sua Terra.

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