A marzo era già tutto abbastanza chiaro.
La vicenda del licenziamento del maresciallo dei vigili, in applicazione della riforma dell’etereo ministro della Funzione pubblica, Marianna Madia, appariva fin troppo esemplare. Il Comune di Acerra – atavicamente inefficiente – dava, in occasione della bella festa allegorica del Carnevale con carri, balli e danzatrici brasiliane, una prova di impeccabile e dura attuazione pratica di una legge dello Stato, concepita per debellare definitivamente i “fannulloni” e “i furbetti del cartellino”. Del resto, nell’opinione pubblica, il posto di lavoro al Comune quando è ricoperto da altri, quando non è uno scambio elettorale, è sempre da considerarsi un “privilegio rubato”. Il dipendente comunale, altro che lavoratore, è un mantenuto.
In un quadro fosco, in una vicenda indefinita di ogni elemento di realtà e di fatti, l’unico elemento di pubblicità e di trasparenza era rappresentato da un comunicato stampa del sindaco che aveva dato in pasto all’opinione pubblica e all’informazione il “criminale infedele”. Una patologica anomalia, una distorsione villana e compulsiva di un potere deviato e incontrollato.
Al Comune di Acerra molti pensano che la trasparenza passi unicamente attraverso i vetri delle porte degli uffici. A Mogadiscio, Tripoli e il Cairo, quando hanno letto la notizia delle porte al Comune di Acerra e dei vetri trasparenti, sono scoppiati a ridere. In realtà sono bastate poche ore perché rimbalzassero dall’edificio di viale della Democrazia alla strada aspetti raccapriccianti della vicenda. La contestazione mossa al dipendente era oscura e confusa; veniva adombrata l’esistenza di improbabili antefatti come innesco di reazioni; gli elementi di prova sembravano inadeguati e sostenuti da problematiche testimonianze; il dirigente responsabile non sarebbe stato presente direttamente nelle fasi di accertamento dei fatti; la cittadinanza aveva visto il vigile impegnato per strada nello svolgimento della sua funzione in quelle ore; in ogni caso si coglieva una netta sproporzionalità con la sanzione così grave impartita. Una procedura dal destino già segnato, come dimostra la prima formulazione del collegio “giudicante” nel quale era stato inserito anche il dirigente che aveva, con una propria iniziativa “accusatoria”, avviato il procedimento disciplinare.
La clamorosa sentenza del Tribunale di Nola di questi giorni ha dimostrato che queste voci avevano tutte fondamento e pertanto il licenziamento era illegittimo, il procedimento penale da archiviare e il lavoratore da reintegrare con un significativo risarcimento del danno, per quanto questa drammatica esperienza personale e familiare lo accompagnerà per tutta la vita.
Questo è il punto.
Il licenziamento per ragioni “infamanti” è, dopo l’ergastolo, una delle pene più gravi che si possono infliggere a una persona. Si paga il prezzo altissimo di non avere la certezza del reddito, con le conseguenze che investono tutta la famiglia, ma si paga soprattutto il prezzo dell’onorabilità infangata con conseguenze che investono la coscienza del lavoratore e la sua capacità di relazione. Dopo un passaggio traumatico del genere, bisogna chiedersi in che modo si può guardare negli occhi un figlio o si può camminare per strada.
L’adozione di un provvedimento così drastico, quindi, senza tutti gli scrupoli e attenzioni del caso, inficiato da leggerezze e approssimazioni evidenziate dal giudice del lavoro, non costituisce solo un procedimento amministrativo viziato e carente, quindi un vero e proprio abuso di potere. Esso sta ad indicare che al Comune di Acerra la cultura del lavoro non rappresenta un punto di riferimento culturale e valoriale. Una società che attribuisce un carattere fondante e fondamentale al lavoro, e soprattutto alla sua dignità, infatti, è una società più forte, solida e consapevole.
Ad Acerra, oramai, nelle istituzioni comunali, ma per tanti versi nella vita politica e pubblica, la cultura del lavoro è stata soppiantata da quella venale e relativa dei soldi, il valore della professionalità sostituita ad ogni livello dall’asservimento opportunistico al potere. Il dibattito politico e le proposte programmatiche, anche nel caso delle ultime elezioni comunali, hanno rimosso totalmente il tema del lavoro. Siamo di fronte ad una rimozione inconsapevole spesso, istintiva, ma oramai profondamente diffusa. Il lavoro come valore è considerato dai più attrezzati al massimo un retaggio del novecento, per altri una delle tante condizioni umane non particolarmente significativa e strutturale per la comunità.
La responsabilità è di tutti.
Ritorniamo a pensare, di tanto in tanto, al significato di questa vicenda del maresciallo dei vigili che ha colpito tanti cittadini. Ritorniamo a pensare in particolare al valore del lavoro tutti i giorni, come un’ossessione.
Pasquale MARANGIO