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Di Costanzo: «Lo stadio comunale non si tocca, la villa può essere fatta altrove»

Mister Di Costanzo difende il ruolo sociale della struttura sportiva. Nello Di Costanzo ha le idee ben chiare sullo stadio di Acerra: villa comunale e strutture sportive non si escludono a vicenda. Chi pone la questione con un aut aut sta ingannando i cittadini. Ai microfoni di Tablò, il parere di un allenatore del calcio italiano che ha allenato dalla serie C alla B. Una centro di 60mila abitanti come Acerra rischia di essere tagliato fuori dallo sport che conta, dopo essere stato a lungo il punto di riferimento del calcio della provincia di Napoli. Mister Di Costanzo ricorda ancora i tornei dei bar che affollavano gli spalti e difende con convinzione la funzione sociale di aggregazione del calcio, che va al di là dei risultati sportivi della squadra cittadina. Immagina una villa comunale al posto dello stadio… «Qui non si tratta di contrapporre le due idee. La villa comunale è sacrosanta. Io vado a Pomigliano per farmi una passeggiata in villa. Ovviamente va fatto un parco verde, ma non in sostituzione dello stadio. Per fortuna nel nostro territorio ancora ne abbiamo di spazio per nuove strutture. Qui in provincia nord abbiamo un territorio che ci permette di fare cose convenienti per la cittadinanza senza rinunciare a nulla. La villa comunale, per nessun motivo può prendere il posto di qualcosa di utile socialmente come uno stadio». Eppure ad Acerra sta per accadere proprio questo: la chiusura dello stadio comunale. «Lo considero un paradosso. Mi stupisco: in un’epoca in cui si registra una generale attenzione sempre maggiore sull’attività sportiva sia di base che agonistica, si elimina un luogo dove si pratica sport anziché aggiungerlo. Io ricordo, 20 anni fa – quando l’Arcoleo era abbandonato a se stesso – lo stadio comunale ha rappresentato l’unica soluzione per tante società ed associazioni sportive. Si doveva dividere il campo in spicchi dove ogni società faceva allenamento. Era un disagio continuo e tornare ad avere un’unica struttura vorrebbe dire fare un passo indietro, in un territorio in cui la densità abitativa non fa altro che crescere. Si tornerà ad avere problemi logistici per praticare sport ad Acerra. Ma poi vi è un altro ordine di problemi, anche più importanti, se vogliamo. Lo stadio rappresenta un punto di riferimento per tutta la comunità di un territorio, di una città. E’ vero che i risultati della squadra cittadina possono avere alti e bassi, ma ciò non toglie che le strutture devono restare, perché qualora ci fosse un appassionato che voglia investire per far crescere la squadra della città, avrebbe i presupposti logistici per farlo. In caso contrario, non verrebbe proprio presa in considerazione l’ipotesi. Ci sono tante piccole realtà che crescono. Ad esempio Sassuolo, centro assai più piccolo di Acerra, ora ha una squadra in serie A. Non è fantascienza che l’Acerrana in futuro arrivi nei campionati professionistici. Così si preclude la possibilità che domani qualcuno investa in questa squadra». Che differenza c’è tra un campo di pallone e uno stadio comunale? «Un campo è un luogo dove c’è un’attività di base, dove i ragazzi e le ragazze possano divertirsi con il gioco del pallone. Lo stadio, invece, oltre a tutto questo, è anche un posto di aggregazione sociale per chi il calcio non lo vive in prima persona praticandolo, ma da spettatore. Ciò ha grandi implicazioni sociali: la cinematografia e la letteratura hanno ampiamente trattato il calcio dalla parte degli spettatori. Pur con tutte le storture delle tifoserie, la componente sociale della passione per la propria squadra è importantissima. Attraverso il calcio le persone si aggregano attorno ad un unico colore, condividendo con altri tifosi questa passione, in maniera pacifica e corretta. Il pallone non è solo praticato sui campi – e anche su questo a livello comunale Acerra è carente con solo Arcoleo e stadio comunale – ma permette anche una socialità complessiva che solo la struttura dello stadio può dare». Cosa rappresenta per te il calcio? «È un modo di vivere, uno stile di vita, un senso di appartenenza alle squadre in cui ho militato sia da calciatore che da allenatore. Inoltre fare calcio significa avere la possibilità di essere in un ambiente sano, nonostante le tante storture che oramai abbiamo imparato a conoscere attraverso i giornali: dal calcio scommesse al doping, tutto ai danni di questo gioco che è assolutamente poetico. Ci sono autori come Osvaldo Soriano che con la metafora del calcio hanno scritto romanzi. Al di là di tutto il marcio, sappiamo bene che giocare a pallone è una cosa bellissima che per alcuni, come me, può diventare un mestiere e una ragione di vita. L’insegnamento del calcio ti permette di poter vivere attraverso una passione che ti piace fare. Questa è un pò la fortuna di chi fa sport a livello professionistico». Qual è l’idea di sport per i giovani che intraprendono un’attività sportiva? «La cultura sportiva è a 360 gradi, i miei studi in scienze motorie mi hanno permesso di avvicinarmi e ad apprezzare un pò tutti gli sport attraverso i quali si può migliorare la qualità della vita delle persone, sia a livello fisico che mentale, ma la cosa principale, al di là del benessere fisiologico è la possibilità di socializzare con gli altri, confrontarsi per conoscere meglio se stessi, anche negli sport individuali. L’attività sportiva aiuta a crescere, a maturare, a rispettare delle regole e all’interno di esse dare il meglio di se stessi. Si tratta di ottenere successi. Non mi piace la parola “vincere”, presuppone sopraffare qualche avversario. Le sfide si lanciano in primo luogo a se stessi ed è proprio dalle sconfitte che si impara sopportare le frustrazioni. Per qualunque sportivo, anche quelli che hanno vinto tanto, ci sono state più sconfitte che vittorie. Anche il più grande ha dovuto subire grandi frustrazioni, imparando a trarre degli insegnamenti, rialzandosi sempre e trovando le forze per ottenere i grandi successi». Un ricordo legato allo stadio comunale di Acerra. «Quando giocavo con la Pietro Carmignani del mitico zi Pietro Puzone, c’erano addirittura i tornei dei bar, che facevano riempire lo stadio intero. Questi tornei estivi avevano anche un certo campanilismo: il bar, la macelleria, il supermercato. Ognuno si faceva la propria squadra e tra giugno e luglio riuscivano a portare migliaia di persone sugli spalti. Non possiamo permetterci di negare ad Acerra tutta questa energia positiva che il calcio trasmette».

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